Mindful Parenting significa, letteralmente, Genitorialità Consapevole: la consapevolezza è intesa come conoscenza (scientifica, informata) ma anche come “esercizio di consapevolezza”, ossia la capacità di essere presenti, orientati e consapevoli a se stessi mentre si è in relazione con i propri figli (il corrispettivo dell'inglese “midfulness”). L'interazione con i propri bambini accende e riattiva schemi, modalità e atteggiamenti collegati alla propria infanzia, una sorta di “cresco i miei figli, così come sono stato cresciuto”. La ripetizione di questi schemi è un concetto ben conosciuto in ambito psicologico e condiviso dalla quasi totalità degli orientamenti, poiché si ricollega alla Teoria dell'Attaccamento (John Bowlby) ad oggi fra le teorie più valide e più forti nel panorama psicologico mondiale.

Un genitore consapevole è dunque colui o colei che compie attivamente uno sforzo in diverse direzioni: osserva se stesso in relazione, ascolta se stesso in relazione, modifica se stesso e le proprie convinzioni/modalità “automatiche” (in altre parole tutte quelle reazioni che solitamente vengono avvertite come incomprensibili/incontrollabili – l'esplosione di rabbia è in cima alla lista).

In questo senso la Mindful Parenting è un approccio ampio che include diverse conoscenze da ambiti più disparati: in primis fa riferimento a teorie psicologiche riconosciute (Teoria dell'Attaccamento) e provate scientificamente, grazie al fenomenale apporto delle neuroscienze; ma si ispira e ricollega ad altre discipline, quali la pedagogia, le teorie della comunicazione, l'etologia e la psicologia evoluzionista. E' dunque un sapere ampio che riporta tutto ad alcuni principi base da cui partire, i capisaldi indiscutibili, “la rampa di lancio” per abbracciare un'educazione rispettosa e armonica.

Il primo caposaldo riguarda la concezione del cucciolo d'uomo in quanto mammifero: il neonato che abbiamo tra le braccia è a tutti gli effetti un cucciolo di animale che ha in sé un semplice mandato, una sola grande spinta che gli assicura la sopravvivenza, ed è quella di costruire una relazione. Grazie a questo vengono compresi e guardati in un'altra ottica diversi comportamenti e atteggiamenti spesso criticati (i famosi “vizi” dei bambini!), quali l'allattamento a richiesta/prolungato, il contatto fisico, il co-sleeping, il bisogno di attenzione, le difficoltà nei momenti di separazione.

Essere consapevoli di questo aspetto consente di rileggere pianti, richieste, “capricci” e difficoltà del cucciolo d'uomo, comprendendone la natura profonda e allineandosi con essa. John Bowlby ci dice: “o si segue la natura umana o la si combatte […]; se non la si combatte la vita è molto più confortevole” e questo insegnamento ci aiuta a prendere una scelta. Vogliamo davvero combattere con i nostri figli? Vogliamo davvero vincere con la forza e l'imposizione qualcosa che è dettato dalla cultura (ognuno nel suo letto! Poppate ogni 3 ore! Deve stare nel passeggino!) mettendo da parte qualcosa che il bambino ha dentro di sé, donato dalla natura? Il mandato di costruire una relazione con le figure di riferimento è ciò che ha concesso all'uomo di sopravvivere ed evolversi fino a diventare l'essere più evoluto del Pianeta. Solo recentemente, se guardiamo alla storia dell'uomo dai suoi albori, sono emerse convinzioni e dettami culturali che spingono al distacco e all'autonomia forzata, una sorta di pressione all'individualità. Con la nascita della famiglia nucleare (ognuno a casa sua e conseguente perdita del “villaggio allargato”), la rivoluzione industriale, l'emancipazione femminile nel mondo del lavoro (sacrosanta!) hanno portato lentamente ad un allontanamento da ciò che è sempre stato fatto, con ragione, nei confronti dei neonati. Basti pensare alle generazioni dei nostri nonni (inizi del secolo scorso) in cui dormire nella stessa stanza o stesso letto era non solo necessario, ma anche più “comodo” - ed è ancora così! - per occuparsi dei risvegli notturni dei piccoli – altro aspetto fisiologico che permane dall'era dei tempi. Storia analoga per l'allattamento e lo stare vicini, a contatto, in braccio.

Prendere consapevolezza di queste nozioni, informandosi, riflettendoci attivamente, mettendo in discussione ciò che si è sempre saputo sull'educazione, consente di aprire la strada ad una genitorialità diversa, non per forza migliore (non si ha questa pretesa, ogni genitore è il genitore migliore per il suo bambino) ma sicuramente più preparata e informata. Le scelte sono veramente libere quando si hanno sufficienti conoscenze e informazioni per sentirsi a proprio agio nell'intraprendere una strada oppure l'altra.

Un altro aspetto essenziale per la consapevolezza in ambito genitoriale riguarda il cervello umano: impossibile apprendere in poco tempo la totale e immensa complessità del nostro cervello. Dan Siegel, illustre psichiatra, pediatra, neuroscienziato e neuropsichiatra (un riferimento per questo approccio), per farci comprendere la complessità del nostro cervello - e della nostra mente - ci offre questa efficace immagine: “Si stima che il nostro cervello sia formato da circa cento miliardi di cellule nervose, che allineate formerebbero un complesso lungo più di tre milioni di chilometri” (“la mente relazionale”, D.Siegel). Avere però conoscenze sulla struttura e il funzionamento del cervello aiuta i genitori a comprendere diversi comportamenti e atteggiamenti dei bambini che spesso mettono in difficoltà, alla prova, rischiano di rovinare la relazione con loro, proprio perché ci sembrano inspiegabili e insuperabili. Sapere perché questi comportamenti emergono (in ogni bambino!) non sarebbe di grande aiuto per poterli affrontare in maniera più autentica, efficace e soprattutto utile per la crescita dei bambini e per la salvaguardia della relazione con loro?

Da questa prospettiva viene quindi spiegato perché:

l'allattamento, il contatto, il co-sleeping, il bisogno di attenzione sono bisogni BIOLOGICI ossia che riguardano la sopravvivenza del piccolo d'uomo. La violenza, le minacce, i ricatti e in generale l'uso della paura in una relazione di attaccamento sono dannosi, controproducenti, irrispettosi e pericolosi per lo sviluppo del bambino, della sua mente e della sua personalità l'ascolto di se stessi come adulti, delle proprie emozioni, sensazioni e vulnerabilità è il primo passo per fornire un ascolto davvero attivo alle necessità dei nostri piccoli (ossia per sintonizzarsi su di essi che, per molto tempo, non avranno fisiologicamente a loro disposizione strumenti di comunicazione complessi) e allo stesso tempo per “ottenere” a nostra volta ascolto dai piccoli. Un bambino visto, capito, ascoltato è un bambino che spontaneamente fa suo l'ascolto, il fermarsi, guardarsi negli occhi e collaborare insieme. Un bambino lasciato libero di coinvolgersi e partecipare alla vita di famiglia, sentendosi di valore, potendo esprimere la sua opinione e il suo sentire, sarà spontaneamente abituato a includere gli altri, ad ascoltare, a cercare e promuovere la collaborazione in gruppo.

Consapevolezza significa quindi sradicare vecchie concezioni per rileggere tutto ciò che si “sa” o si pensa di sapere rispetto allo sviluppo infantile, l'educazione e la pedagogia, adottando un atteggiamento nuovo e più presente, in linea e in armonia con ciò che naturalmente avviene durante la crescita di ogni bambino. Accompagnare anziché comandare; accogliere, anziché spronare (quando diciamo “non piangere” non stiamo consolando, stiamo squalificando); assecondare, anziché reprimere.

In altre parole: consapevoli della potenza dell'amore e delle sue conseguenze.


Testo elaborato dalla Dott.ssa Valeria Falovo